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Alzarsi dal letto… di Procuste: le relazioni tossiche sul lavoro

Secondo la mitologia Greca, Procuste fu un gigante e bandito dell’antica Attica, il cui vero nome era in realtà Damaste (o Polifemone).

Egli viveva sul monte Coridallo, che fu il teatro delle sue ignobili gesta: Procuste, infatti, era solito irretire i malcapitati viandanti che si imbattevano in lui durante il cammino, attirandoli a sé con il pretesto di un comodo giaciglio.

Una volta condotte le vittime nella sua dimora, egli le costringeva su un’incudine a forma di letto e lì le torturava: i più alti subivano l’amputazione degli arti, in modo che non sporgessero dal letto, mentre i più minuti subivano lo stiramento e il taglio delle ossa, in modo da far combaciare la lunghezza del corpo a quella dell’atroce talamo.

Perché parlare di Procuste?

Il mito ha acquisito un forte valore simbolico nel corso dei secoli.

Oggi, quando si parla di Letto di Procuste si fa riferimento alla necessità di adattarsi a situazioni estremamente scomode o che non dovrebbero essere tollerate. Secondo un’altra accezione, il letto di Procuste è il simbolo dell’atteggiamento mentale proprio di chi cerca di ridurre ogni situazione ad un solo modello interpretativo.

Ma perché ci interessa parlare di Procuste, di mitologia greca e di aberranti violenze?

Ovviamente, Procuste è un simbolo, ma non è solo per quello che ho scelto di parlarne.

Parto col dire che, oltre in mitologia, Procuste è noto anche in ambito psicologico: la Sindrome di Procuste è una patologia particolarmente grave che affligge coloro che reagiscono con dispiacere profondo o persino con angoscia ai successi altrui. Attenzione, però, non fatevi ingannare: questo non è un pezzo sull’invidia. O meglio, non è quello il tema centrale.

Procuste di ieri e Procuste di oggi

Insomma, di ‘Procuste’ ne esistono tantissimi e, spesso, ognuno di noi si trova nelle condizioni di averci a che fare, specie in ambito professionale.

In questi giorni riflettevo su uno scenario lavorativo che mi aveva visto coinvolta non più di qualche settimana fa: da fuori, un ambiente ideale, propositivo, ispirante, motivante; dall’interno… beh, inizialmente lo era anche visto dall’interno. Poi, però, ho iniziato a percepire qualcosa che non andava. Non saprei raccontare esattamente che cosa, ma il mio sesto senso non faceva che strepitare: “Sta’ Attenta Lisa, qualcosa qui non torna!

Come volete che sia andata a finire?

Il mio sesto senso aveva ragione; il progetto è naufragato e io mi sono ritrovata a fare i conti con la “sconfitta” (ma lo era davvero?) e con quel fastidiosissimo senso di disfatta che ne deriva.

Eccomi lì, ancora una volta a pormi domande su me stessa, a interrogarmi su dove sbagli e su cosa possa fare per migliorarmi.

A chiedermi perché, nonostante la mia fede cieca nei confronti del team building e delle relazioni umane, mi trovassi una volta di più a metabolizzare una partnership finita male.

Dove sbaglio? Sarò mica fatta male? E’ davvero così?

L’epifania: siete voi Procuste!

Ero nel pieno della mia auto-analisi, quando ho ricevuto una mail, una newsletter di Riccardo Scandellari, come sempre illuminante. Questa volta, oltre alla solita indubbia qualità del contenuto, a colpirmi è stato anche il tempismo: la mail parlava appunto di tutti questi ‘Procuste’ che infestano il mondo del lavoro; la mail arrivava persino a identificarne un identikit: i ‘Procuste’ sono quelle persone che si sentono minacciate dall’intraprendenza dei colleghi, quelli avari di complimenti in pubblico, ma persino troppo generosi di privati encomi. E poi sono quelle persone egocentriche, refrattarie ad ascoltare gli altri e ardentemente desiderose di raccontare di sé, tendenzialmente portate a criticare gli altri in loro assenza, spesso con tono particolarmente aspro, pungente, sardonico. E lì c’è stata la mia epifania: ha ragione! Non sono io il problema, sono loro! Ho avuto a che fare con tanti ‘Procuste’ e quasi non me ne stavo rendendo conto, stavo dando la colpa a me stessa, mi stavo flagellando per colpe che non avevo. E sì che tendo a essere molto autocritica, ma questo non può tradursi in mortificazione e catene di cilicio!

E allora ho reagito…

Non aspettavi un finale movimentato; non vi racconterò di me che sbatto la porta o che insulto chicchessia. La mia reazione è stata decisamente più misurata, ma anche molto più funzionale e costruttiva per il mio benessere e il mio equilibrio mentale: semplicemente, ho preso consapevolezza, di tutto. Ci sono professionisti che vivono con ostile rivalità il rapporto con i propri colleghi. Ci sono personalità che molto facilmente si sentono minacciate dalle novità, dalle iniziative altrui, dal carisma degli altri, dalla loro propositività, dalla competenza, dalla bellezza, dallo stile, dai temporali e dalla propria stessa ombra. Spesso, molto spesso, la loro avversione deriva da una mancanza di sicurezza nei confronti di se stessi, il loro astio dal timore di sentirsi sminuiti nella loro posizione professionale. E le contromisure, talvolta, possono rivelarsi meschine, orientate a limitare le iniziative degli altri, a sminuirle, a deprezzarle. C’è chi agisce in modo leggibile, palesando malsopportazione e antipatia attraverso toni sprezzanti e sarcastici. E c’è chi invece adotta un approccio molto più subdolo, magari arrivando persino ad adottare manovre doppiogiochiste pur di mettere in cattiva luce gli altri. Non voglio compatirli, non voglio giudicarli: si tratta, semplicemente, di prenderne atto.

Riconoscere le persone negative, non lasciarsi condizionare

Bene, se la vostra idea è quella di combattere ogni Procuste che incontrerete sul vostro cammino, magari usando le sue stesse armi, io credo che corriate il rischio di farvi molto male. Ma quel che è peggio è che finireste con l’imbruttire voi stessi. Il consiglio che vi do è, prima di tutto, di imparare a riconoscerli per tempo e prendere le opportune contromisure.

Quali?

È sufficiente tenerli alla larga.

E se non possiamo evitarli, possiamo quantomeno controllare gli effetti delle loro azioni su di noi, ad esempio tenendo a mente quanto poco valga la loro opinione.

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